Dal 20.03.2022

Giovani e lavoro una ricerca-azione per comprendere la crisi del mondo giovanile e favorire la spinta all’auto-imprenditorialità dei giovani

Tra aspirazione e realismo: un affondo psicologico sull’autoimprenditorialita’ dei giovani-adulti italiani

Il passaggio dall’adolescenza all’età adulta può essere una fase della vita particolarmente difficile, poiché si è chiamati a trovare il proprio posto nel mondo. Secondo Schlossberg, ogni volta che una persona vive una transizione “si presenta la possibilità di sentirsi marginale”. Questo si verifica in maniera massiccia nella transizione all’età adulta, motivo per cui diventa cruciale l’accompagnamento dei giovani durante il loro percorso di autodeterminazione. Questo percorso al giorno d’oggi è reso ancor più difficile da un contesto, come quello italiano, che non percepisce i giovani adulti come una priorità e una speranza su cui poggiare per la ripresa e la resilienza del paese. La pandemia COVID-19 ha avuto il maggiore impatto sulle giovani generazioni. Oggi il tasso di disoccupazione (16,8%) tra i giovani italiani di età compresa tra i 15 e i 29 anni si colloca al di sopra della media dell’Unione Europea (10,9%), dopo Spagna e Grecia (Eurostat, 2023). Questo dato è particolarmente allarmante se si considera l’associazione positiva tra l’aumento del tasso di disoccupazione e i disturbi d’ansia e dell’umore. Sebbene la diffusione di questi ultimi sia aumentata rispetto al 2018 per tutte le generazioni, è la generazione più giovane ad avere registrato la diffusione maggiore. Questi dati evidenziano l’importanza di sviluppare interventi multilivello efficaci che possano sostenere le giovani generazioni nel loro percorso di autodeterminazione che può essere inteso come un percorso che mira a sviluppare un’auto-imprenditorialità psicologica, concepita non più come la tradizionale apertura di una propria azienda ma come una capacità esistenziale di progettare il proprio percorso, tanto personale come lavorativo, coniugando le proprie aspirazioni con i vincoli che la realtà presenta.

Questa ricerca offre sia un resoconto quantitativo del fenomeno all'interno del campione statistico considerato sia un resoconto dell’approfondimento qualitativo di questi dati. La fase quantitativa nasce in seguito ad ricerca qualitativa che ha fotografato le dimensioni psico-sociali che caratterizzano lo scenario di “crisi” attuale dal punto di vista dei giovani, tenendo conto dell’impatto del COVID-19 sulla società, e ha indagato il costrutto di auto- imprenditorialità psicologica coinvolgendo 26 giovani residenti a Milano. Ciò che era emerso dalla fase qualitativa era stata la presenza di dimensioni soggettive contrastanti: da un lato una dimensione propositiva che spinge i giovani a cercare di definire obiettivi di vita e strade per raggiungerli e, dall’altra una dimensione depressiva che invece identifica alcuni meccanismi psicologici che ostacolano i giovani nel raggiungimento di tali obiettivi. La fatica di muoversi in questa fase specifica di sviluppo - quella dell’emerging adulthood - è smorzata dalla presenza di relazioni interpersonali supportive (amici, genitori, mentori) che sono riferimenti importanti per navigare un’incertezza, resa ancora più acuta dal contesto sociale sempre più globalizzato e competitivo. Sebbene essi vivano un microcontesto confortevole, il mondo esterno alle relazioni più prossime, ovvero la sfera lavorativa e quella politico-ambientale, è percepito come eccessivamente esigente ed escludente. Dalle narrative dei giovani era emerso il desiderio di maggior giustizia sociale, di vivere con più lentezza la quotidianità - in contro tendenza rispetto alla frenesia e alla velocità della metropoli - e si era delineata la percezione di non essere considerati da chi fa le politiche per il paese. Quest’ultima fa riferimento a ciò che in letteratura è indicato come “mattering comunitario” che è definito infatti come “la percezione di essere importanti per la società e di svolgere un ruolo significativo nel plasmare il mondo in cui viviamo”. Il mattering comunitario è proprio ciò che i giovani sentono di non sperimentare nel contesto italiano. Le condizioni narrate dai giovani descrivono da vicino e nello specifico lo scenario di “crisi” accennato nel paragrafo precedente e rendono ancora più evidente l’importanza di lavorare sul costrutto dell’autoimprenditorialità psicologica. A partire da questi risultati si è deciso di avviare tre step che caratterizzano la fase di analisi quantitativa della ricerca che sono i seguenti:
-Studio Quantitativo: questionari online rivolto ai giovani
-Focus Group con i giovani che lavorano
-Workshop con gli imprenditori
Lo studio quantitativo intendeva allargare la conoscenza sull’autoimprenditorialità psicologica dei giovani residenti in Lombardia, focalizzandosi sulle dimensioni emerse come importanti nella precedente fase qualitativa della ricerca.

La presente ricerca intendeva espandere a livello quantitativo la conoscenza dell’autoimprenditorialità psicologica dei giovani residenti in Lombardia. Sono emerse delle differenze socio-demografiche ricorrenti su due soft skills: la fiducia in sé e la resilienza, che, quindi, sono connesse a questioni di genere ma anche ad esperienze di vita, quali il luogo di residenza o l’aver svolto percorsi di PTCO o di internazionalizzazione. In particolare, emerge che i ragazzi percepiscono in misura maggiore rispetto alle ragazze di avere skills legate al continuare ad essere performanti anche in condizioni ambientali sfidanti (fiducia in sé e resilienza) mentre queste ultime si percepiscono come più dotate di skills relazionali (apertura ed empatia) e orientate alla realizzazione (impegno, autonomia e problem solving). Inoltre, risulta che chi vive in capoluoghi di provincia e chi ha svolto esperienze al di fuori della scuola (PTCO) o del proprio paese ha una fiducia in sé e una resilienza maggiori. Questi risultati mostrano la stretta relazione che c’è tra le soft skills e il contesto ambientale dei giovani. Con questi dati non è possibile dire se i giovani più resilienti sono portati a fare di più queste esperienze o se sono queste esperienze che hanno permesso di sviluppare maggior fiducia in sé e resilienza; tuttavia, la letteratura sostiene che fornendo opportunità di crescita come queste - che sono sicuramente maggiori nei capoluoghi di provincia rispetto ai paesi - è possibile “temprare” i giovani e aiutarli a diventare consapevoli delle loro potenzialità. Le aree urbane hanno avuto la meglio in termini di investimenti e attenzione politica. Al contrario, le aree interne, periferiche e rurali sono state ulteriormente penalizzate, in quanto hanno assistito a un vero e proprio disinvestimento strategico, politico e culturale.

Un’analisi di Alfieri ed Ellena (2020) mostra che nei periodi precedenti alla crisi, la popolazione giovanile italiana era maggiormente presente nelle aree urbane, mentre durante il picco della crisi economica, la percentuale di giovani urbani è diminuita. Questo tema dell’urbanizzazione è recentemente al centro dell'attenzione dei progetti dell'Unione Europea. I giovani che vivono in contesti rurali sono più a rischio di sviluppare meno competenze e anche di diventare NEET (cioè di uscire dai circuiti di studio e di lavoro) rispetto ai loro coetanei urbani.

È inoltre interessante notare il ruolo dell’internazionalizzazione che si lega anche all’aspettativa futura positiva e alla soddisfazione di vita. Queste ultime sono più alte per chi ha svolto qualche esperienza all’estero. Sembra quindi che fare esperienze “fuori di casa” si connetta a una serie di vantaggi in termini di risorse per affrontare il futuro. Infine, per quanto riguarda le dimensioni interpersonali e sociali, i risultati sostengono la tesi per cui le relazioni di prossimità e il sentire di essere importanti e avere un proprio posto di valore nel mondo si connettono all’autoimprenditorialità psicologica (intesa come soft skills e aspettativa futura positiva) e alla soddisfazione di vita. Questo significa che se si vuole lavorare per aiutare i giovani ad essere più in grado di progettare il loro futuro personale e professionale non sono necessari corsi e training ad hoc sulle soft skills quanto piuttosto lavorare affinché il contesto in cui vivono sia più supportivo, inclusivo e valorizzante.

Il lavoro realizzato durante la ricerca offre una panoramica molto ricca e variegata dei giovani residenti in Lombardia nel presente momento storico segnato dalla crisi post-pandemica e dall’incertezza che a livello globale segna l’esistenza dell’umanità, con particolare riferimento ai giovani che devono in questi anni definire le proprie traiettorie di vita lavorativa e personale. Il merito del lavoro è sicuramente quello di aver dato voce ai giovani uscendo dagli stereotipi con i quali il mondo adulto guarda alle giovani generazioni e fornendo una lettura situata e partecipata dell’universo giovanile nella fase della vita in transizione dalla scuola/università al lavoro. Parliamo di universo perché qualunque tentativo di trovare chiavi di lettura univoche per definire i giovani sarebbe un’ingiusta omologazione di una generazione che, come le precedenti, presenta una grande varietà al suo interno. Sono emerse delle differenze socio- demografiche ricorrenti su due soft skills: la fiducia in sé e la resilienza, che sono connesse a questioni di genere ma anche ad esperienze di vita, quali il luogo di residenza o l’aver svolto percorsi di PTCO o di internazionalizzazione. Questi risultati mostrano la stretta relazione che c’è tra le soft skills e il contesto ambientale dei giovani e sembrano evidenziare che fare esperienze “fuori di casa” porta ad una serie di vantaggi in termini di risorse per affrontare il futuro. Nonostante le differenze, è senz’altro possibile identificare alcuni aspetti “generazionali” ed “epocali” che connotano il gruppo di giovani preso in considerazione. Se da una parte troviamo incertezza e spaesamento a farla da padrone nello scenario emotivo di questi giovani, dall’altro c’è un grande investimento sulla propria realizzazione anche attraverso esperienze all’estero e corsi specializzanti. Sul piano dell’autoimprenditorialità i giovani si mostrano aperti alla possibilità di uscire dalla definizione classica di imprenditoria come categoria lavorativa per abbracciare un significato più psicologico e attitudinale. Autoimprenditorialità come “essere imprenditore di se stesso” e quindi come modalità proattiva e creativa di costruirsi la propria professionalità e il proprio posto nel mondo. È importante quindi che questa accezione di imprenditorialità possa venire ulteriormente esplorata sul piano teorico e promossa anche nel mondo adulto per contribuire a produrre un cambiamento culturale che possa dare maggiore fiducia al potenziale di ognuno e possa mettere le basi (a partire da una maggiore attenzione alle soft skills) per la piena realizzazione di ognuno in accordo con le proprie aspirazioni, competenze e qualità.

Infine, dalla ricerca emerge come gli aspetti del funzionamento di personalità insieme alle relazioni interpersonali e alle dimensioni sociali possono giocare un ruolo per il fiorire dell’autoimprenditorialità psicologica (intesa come soft skills e aspettativa futura positiva) e della soddisfazione di vita. Questo evidenzia l’importanza di adottare una visione ecologica nello sviluppo di interventi mirati ad accompagnare i giovani verso percorsi di autodeterminazione lavorativa e non solo. Infatti, un’eccessiva autocritica e dipendenza nei confronti degli altri incrementano la vulnerabilità dei giovani (perché si connettono ad un più basso livello di soft skills) mentre l’efficacia lavora nella direzione opposta e auspicata. Insieme all’efficacia anche le relazioni di prossimità e il sentire di essere importanti nel contesto comunitario si connettono all’autoimprenditorialità psicologica e alla soddisfazione di vita. Dal momento che a livello macro non vi è una valorizzazione dei giovani - ne è un esempio la legge di bilancio approvata lo scorso anno (DL 197/2022) che ha destinato solo il 5% delle spese ai giovani - i corpi intermedi possono proteggere dagli effetti negativi di questa marginalità sociale e rilanciare una nuova visione dei giovani, propositiva e in grado di apprezzare le loro risorse e potenzialità. Questi corpi intermedi possono essere associazioni del Terzo Settore ma anche aziende che sono in prima linea nell’approcciare i giovani che entrano nel mercato del lavoro, e possono farli sentire apprezzati e capaci o, al contrario, alimentare le loro insicurezze. A loro, quindi, in questa fase storica è affidato il compito di costruire mastery e mattering comunitario creando opportunità perché i giovani si possano sentire competenti e di conseguenza possano anche sviluppare un’autoimprenditorialità psicologica che gli consenta di diventare indipendenti in molteplici sfere della loro vita. In questo caso l’indipendenza non è intesa come la capacità di scegliere da soli quanto la capacità di affrontare le sfide contando sulle proprie risorse, che provengono soprattutto dall’ambiente in cui si vive e dalle relazioni che si intessono in esso.

In collaborazione con:
(CERISVICO) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
Responsabili: Daniela Marzana, Sara Martinez Damia e Elena Marta