29.11.2023

Avvenire

Andrea Zaghi

I giovani cercano il proprio posto nel mondo

Giovani in mezzo al guado: tra la voglia di realizzare i propri sogni e la necessità di stare con i piedi per terra. Giovani che capiscono che occorre essere imprenditori di sé stessi, ma che non riescono a raggiungere compiutamente l’obiettivo. E che hanno voglia di arrivare al traguardo, ma hanno la sensazione di essere lasciati spesso da soli. I giovani esprimono così la loro crisi, così come il loro desiderio di fare. “Giovani e lavoro una ricerca azione per comprendere la crisi del mondo giovanile e favorire la spinta all’auto-imprenditorialità dei giovani”, una ricerca condotta da UCID Milano e Università Cattolica, ha messo a fuoco i tratti essenziali di questa condizione, delineando anche gli strumenti corretti per affrontarla. L’indagine –condotta con focus group, interviste e un questionario somministrato ad un campione rappresentativo di giovani milanesi , ha un preciso punto di partenza: rispetto ai coetanei europei i giovani italiani, percepiscono più a rischio i propri progetti di vita: oltre il 60% ritiene che l’emergenza sanitaria avrà un impatto negativo sui loro piani per il futuro. Sembrerebbe poi mancare una sana spinta all’imprenditorialità intesa come “auto-imprenditorialità” e quindi come capacità di progettare il proprio percorso lavorativo in linea con le proprie aspirazioni ma anche tenendo conto dei vincoli della realtà. L’obiettivo della ricerca è stato quindi da un lato quello di fotografare la situazione e, dall’altro, delineare gli strumenti adeguati per aiutare i giovani ad uscire da questa condizione difficile. Trovare il proprio posto nel mondo – è l’indicazione che arriva dall’indagine , comporta essere, come si è detto, imprenditori di sé stessi e cioè avere uno spirito in grado di adattarsi a contesti mutevoli ed incerti e capace di essere propositivo e pronto ad accogliere le opportunità. È proprio questo il punto centrale che la ricerca mette a fuoco: cioè un’idea nuova di autoimprenditorialità, che non ha a che fare solo con l’idea classica “della propria impresa autonoma o di famiglia” ma che intende mettere a fuoco la rappresentazione che ne hanno le e i giovani e il modo in cui stanno cercando di realizzarla nel contesto milanese (preso come esempio che vale anche per altri luoghi e altre situazioni economiche).

Ma quali sono i risultati della ricerca? Il concetto di autoimprenditorialità per i giovani ha oggi ancora una duplice valenza: da un lato quella dell’imprenditore classico, dall’altro quella di una “competenza” basata sul “puntare su sé stessi” definendo obiettivi, pianificando e sviluppando le competenze necessarie per svolgere al meglio un lavoro al di là dell’aprire una propria impresa. Ed è qui che i giovani coinvolti dall’indagine identificano gli ostacoli da affrontare. Che possono essere raggruppati in tre ordini. Il contesto politico ambientale e territoriale che guarda scarsamente al merito e che investe poco sui giovani che sentono di essere lasciati indietro e poco valorizzati; un contesto “localistico-territoriale” (quello milanese) che offre molte opportunità che però si trasformano di fatto più in un “miraggio” che in una realtà raggiungibile. In secondo luogo, le nuove leve hanno a che fare con un contesto lavorativo sempre più esigente che, spesso, non offre in cambio riconoscimenti ritenuti adeguati (almeno all’inizio della carriera lavorativa). Infine, i giovani devono fare i conti con un sistema di relazioni basato molto di più sugli ostacoli alla vera socializzazione che sugli strumenti che la facilitano.

Quindi che fare? La ricerca di UCID Milano e di Cattolica ha delineato cinque di “piani d’azione” ritenuti importanti per rispondere ai bisogni dei giovani e per sostenere la loro autoimprenditorialità. Occorre, quindi, creare prima di tutto degli “spazi d’ascolto” dedicati a chi si affaccia al mondo del lavoro; spazi (anche fisici) che servano per aiutare a pianificare cosa fare e affrontare le paure. Il secondo piano d’azione punta sul passaggio dei giovani dalla famiglia di origine alla comunità in senso lato, sfruttando le peculiarità del terzo settore. Iniziare a camminare da soli nel mondo è importante per capire vocazione lavorativa e concretezza dei propri sogni. In terzo luogo, c’è la necessità di puntare sull’apprendimento che deriva dall’esperienza e, quindi, sul dialogo tra i tre vertici di un triangolo virtuoso: giovani, mondo della formazione in senso lato e sistema delle imprese. È necessario, poi, promuovere la partecipazione alla pari di tutti gli attori del sistema, senza far prevalere nessuno di loro. Il quinto ambito d’azione, infine, punta alla consapevolezza da parte dei giovani di avere la possibilità concreta di essere autoimprenditori e cioè capaci di costruire il proprio posto nel mondo.

L’analisi condotta dalla ricerca UCID-Cattolica, individua così da un lato una serie di strumenti d’azione e, dall’altro, due “binari” lungo i quali i giovani viaggiano. Il primo binario è quello della speranza di trovare la propria strada, impegnandosi e mettendosi in gioco. Il secondo binario è quello della paura di non farcela di fronte ad un contesto ambientale altamente incerto e mutevole che porta i giovani a non sentirsi all’altezza, a non volere rischiare e quindi a non cogliere le opportunità. Il traguardo da raggiungere è naturalmente quello di condurre quanti più giovani possibile lungo il binario giusto, giovani capaci di oltrepassare quella “linea d’ombra” che segna il confine tra le esperienze della prima gioventù e quelle dell’età adulta.